Una giornata grigia, il cielo che non si commuove.
Il pomeriggio dopo i compiti, quello deludente dal quale non ci si aspetta nulla.
Un bimbo. Il giubbottino incautamente aperto nel freddo pungente e una scarpa slacciata. Il viso di chi ha appena smesso di piangere e il naso che di tanto in tanto tira su.
"Figli piccoli - problemi piccoli", già, il mondo visto dalla parte dei genitori, accidenti. La verità è che l'angoscia non ha età. Esiste anche a otto anni.
Con l'aggravante che è un sentimento abbastanza nuovo.
Una fila di negozietti anonimi con i neon accesi e una fastidiosa luce bianca che cela innaturalmente tutte le ombre.
Poi una vetrina illuminata da una luce calda, avvolgente, a metà tra il giallo e l'arancione.
Giochi. Solo e semplicemente giochi.
La passeggiata si interrompe, il viso si illumina, il naso e le mani premono sul vetro mentre il fiato condensa in un umido alone intermittente.
Confezioni gialle, verdi, fucsia che racchiudono bambole e automobiline, custodi di desideri e speranze che non si è mai saputo a chi raccontare.
Spingere la pesante porta arrugginita con tutte le proprie forze è il prezzo da pagare per guadagnare l'accesso a questo mondo, fatto di sogno e fantasia.
L'accoglienza la fa un pupazzo gigante con le sembianze di un orso che fa ciao ciao con la zampa e un'esposizione di bamboline con le guance paffute e quell'espressione poco intelligente rintracciabile comunemente anche al di fuori dei negozi di giocattoli.
L'effetto, la sensazione potrebbe essere quella di un esploratore ottocentesco che fa il suo ingresso in una tomba egizia perfettamente conservata.
A dir la verità l'odore di chiuso potrebbe essere lo stesso.
Dietro il bancone una donna, il viso rugoso, i capelli sbiaditi e arruffati di chi ha rinunciato alla vita da molto tempo, un golfino sgualcito le copre le spalle.
La mano tremolante scorre sulle foto di un album aperto sempre alla stessa pagina.
Da dietro le spesse e opache lenti, due pupille convergono sull'ospite inaspettato.
La voce malferma riga il silenzio: "Mi dispiace, per te qui non c'è nulla".