martedì 27 febbraio 2007

Tutto qui

Ehi ragazzo,
davvero vuoi sapere qual'è secondo me la più grande differenza tra uomo e donna?
Che ingenuo che sei.
Quando hai un uomo davanti, ti confronti.
Quando guardi una donna invece, ti perdi. E gliene sei grato.
Tutto qui.
Odio essere banale ma se dicessi di più non sarei onesto con me stesso. E con te.

domenica 18 febbraio 2007

La borsa ... la vita




Ho cambiato la mia borsa. Mi seguiva fedelmente in ufficio tutte le settimane, lo faceva da quasi dieci anni. Era ormai stanca, logora anche se non glielo mai detto. E’ incredibile come i ricordi siano a volte legati a doppio filo a degli oggetti. Me ne sono reso conto quando ho aperto il cofano della macchina per prenderla. Solo allora ho realizzato che sarebbe stata l’ultima volta e in un flash improvviso l’ho rivista cavalcare l’ultimo decennio della mia vita; sbracata sulla sedia accanto alla mia in ufficio o timidamente appoggiata sul sacro e polveroso suolo di un’aula universitaria.

Ti sei annoiata in tutti questi anni? Beh, ma in fondo, anche tu, cosa potevi pretendere? Segmento economico, color blu elettrico. Te lo vedi un signor manager con te a tracollo?
Ma hai avuto anche tu i tuoi momenti di gloria. Ti ricordo tronfia e impettita nei corridoi di “Palazzo Nuovo”, il giorno della laurea ma anche complice e indulgente in ufficio mentre giocavamo a rigori con le sedie e la pallina di carta.

Le stagioni sono passate e tu eri sempre lì ad osservarmi; mentre ridevo, mentre mi affannavo, anche quando mi illudevo che qualcosa stesse cambiando. Chissà cosa avrai pensato. Chissà se quella cerniera rotta era in realtà il tuo benevolo e sghembo sorriso.

Ed ora ti ho tradito con una più nuova, giovane, fresca. Non volermene ma è la vita. Pare che funzioni così. Non si può vivere con la testa rivolta all’indietro ma protesi eroicamente verso il futuro, questo luogo nel quale nessuno è mai andato ma verso il quale tutti si incamminano con indifferente incoscienza.
Mi hanno chiesto di scegliere tra la borsa e la vita; e senza neanche farmi alzare le mani. Tu cosa avresti scelto?

Ma niente paura: non si butta nulla, tanto meno i ricordi. Finirai dignitosamente i tuoi giorni nel fondo di qualche armadio. Ogni tanto lo aprirò e ci scambieremo uno sguardo di intesa. Parleremo dei vecchi tempi e ci sfiancheremo di ricordi … l’unico paradiso dal quale nessun dio potrà mai cacciarci.

venerdì 16 febbraio 2007

Sul progresso tecnologico


Drawing Hands, di Maurits Cornelis Escher

È come se il progresso tecnologico comportasse una specie di involuzione della specie umana. La tecnologia – che nulla ha a che spartire con la scienza – ci rifila sempre un nuovo modo per comunicare, che appare come una meraviglia del progresso, ma che al contrario si rivela sempre più limitato: le lettere, poi il telefono, i messaggi istantanei e adesso le comunità virtuali o, più semplicemente, le chat.

Tutto questo mi ricorda un’altra involuzione: quella della conservazione dei documenti. Più in generale, della memoria. Perché uno si aspetterebbe che con l’avanzare della tecnologia, la longevità dei documenti che costituiscono il patrimonio culturale dell’umanità, ad esempio, sia sempre più lunga; sempre più sicura. Invece è esattamente il contrario: Domesday Book, il primo catasto europeo – fatto compilare da Guglielmo il Conquistatore nel 1086 – solo per citarne uno, è fatto di inchiostro su pergamena ed è tuttora consultabile. Intatto. La versione digitale realizzata dalla BBC nel 1983, invece, già nel 2002 non era più consultabile! Era fatta su videodisco per microcomputer, che ormai non esistono più perché obsoleti superati. Insomma, l’inchiostro su pergamena è durato oltre novecento anni, mentre il videodisco nemmeno venti.

Lo stesso avviene con la comunicazione: ci ritroviamo con tecnologie avanzatissime; ma siamo sempre più distanti. Sempre più tristi. Perché tu chiacchieri con una tipa di Nukualofa (a dodici ore di fuso orario da Roma), quando alla tua vicina di casa – che magari è una ragazza bellissima tutta curve – riesci appena a dire “ciao”. Eppure si moltiplicano le comunità di “social networking” come Badoo, dove badola d’ogni dove fanno conoscenza di altri badola, alla ricerca di amicizie o – anzi – sesso, finto falso e comunque inesistente. Ma perché? Davvero credete che un bacio mandato per “lettera” sia uguale ad un bacio dato davvero?

La cosa in assoluto più triste di questi mezzi di comunicazione, comunque, è la spersonalizzazione che vi è implicita. Il concetto di identità infatti, è totalmente stravolto e mette in moto meccanismi psicologici che personalmente trovo aberranti. Pensate anche soltanto all’alias o nickname: corrisponde precisamente all’idea di alter-ego. Quando usiamo un sistema di messaggistica, siamo la proiezione di ciò che vorremmo essere. Siamo l’alter-ego che ci siamo dati. Siamo un’altra persona. Non è paranoia o fobia pensare che mentre chiacchieri con una che dice di essere una studentessa della Provenza (con tanto di foto sexy), tu stia in realtà chiacchierando con un camionista tedesco (non me ne vogliano i camionisti tedeschi: potrebbe accadere anche il contrario). La mia non è una miope e banale demonizzazione da quattro soldi. Neppure un discorso moralistico e ipocrita. Penso semplicemente che sia assurdo illudersi di riuscire ad avere relazioni di amicizia o addirittura d’amore – che siano significative – usando questi mezzucci, e che essi invece siano proposti e usati dai più proprio a questo scopo.

Insomma, ancora sicuri che la tecnologia porti al progresso?

mercoledì 14 febbraio 2007

India Hotel Otto Sette Zero


Sala d'aspetto di Candida Riva (penna su cartoncino)

A Alpha, B Bravo, C Charlie, D Delta, E Echo, F Foxtrot, G Golf, H Hotel, I India, J Juliet, K Kilo, L Lima, M Mike, N November, O Oscar, P Papa, Q Quebec, R Romeo, S Sierra, T Tango, U Uniform, V Victor, W Whiskey, X X-ray, Y Yankee, Z Zulu.

"Alfabeto fonetico ICAO" è il nome di questo alfabeto usato dalla NATO.

La sua funzione è quella di evitare che vi siano delle incomprensioni nelle conversazioni via radio. Esistono altri alfabeti simili a questo.

Quello della Royal Air Force o quello della Marina Reale Britannica: A Apples, B Butter, C Charlie, D Duff, E Edward, F Freddy, G George, H Harry, I Ink,J Johnny, K King, L London, M Monkey, N Nuts, O Orange, P Pudding, Q Queenie, R Robert, S Sugar, T Tommy, U Uncle, V Vinegar, W Willie, X Xerxes, Y Yellow, Z Zebra.
Ne usiamo anche noi uno simile quando al telefono diciamo "B di Bologna" o "G di Genova".

D'accordo che nella vita è importante comunicare in modo chiaro e univoco ma sembra che in ambito militare non ci si possa proprio permettere che qualcosa vada storto.
Però succede lo stesso.

"India Hotel Otto Sette Zero" è il nome di un volo.
Un volo, l' IH870, che è decollato a Bologna, aereo "I-TIGI", compagnia aerea italiana Itavia, ore 20,08 del 27 giugno 1980.
Un aereo che non è mai arrivato a Destinazione e col termine "Destinazione" non intendo semplicemente un aeroporto di arrivo.
Non conosco persone che viaggiano per il gusto di raggiungere aeroporti.
Di solito quando si viaggia lo si fa per raggiungere persone.
E allora la Destinazione è lì, dove parenti e amici attendono con aspettazione l'arrivo dei loro cari.
Ecco perchè è così triste quando qualcuno non arriva a Destinazione.

Una sala d'attesa e una sera d'estate.
Elementi classici, presenti in molte storie.
Quelle che iniziano in modo sempre così tragicamente normale.
Il solito annuncio del solito ritardo, poi l'attesa comincia a pesare, il disagio si trasforma in ansia, l'ansia in angoscia e poi... e poi il vuoto.
Quello infinito.
Come il dolore di chi pensa di tornare da un aeroporto in compagnia e invece si trova a tornare da solo in macchina nel buio della sera con le lacrime agli occhi e una notizia che non si vuole dare.
Che cosa è successo a quell'aereo?
Bella domanda.
La risposta un po' meno: non lo sappiamo.

Qualcosa però possiamo intuire.
Ci rimangono alcune istantanee di quei momenti, delle foto nelle quali non si vede niente, degli scatti dai quali però si capisce qualcosa.
Per esempio che non è stato un incidente.


Il tracciato radar

Un radar è come una torcia nel buio, emette un fascio di luce.
Un fascio di luce che non si vede, ma che consente di vedere cose lontane.
Il radar dell'aeroporto di Roma-Ciampino, ogni sei secondi concludeva un giro d'antenna "guardando" lo spazio aereo fino a 200 Km di distanza.
Che cosa si vede sullo schermo di un radar?
Un radar (RAdio Detection And Ranging) ha uno schermo ma non è un televisore, non intrattiene con immagini dinamiche e colorate.
Però qualcosa si vede lo stesso.
Punti.
Plots in gergo radaristico.
Quello che essi dicono non si sente con gli orecchi, lo si interpreta con gli occhi.
I plots dicono che l'aereo stava percorrendo la AMBRA13.
AMBRA13 non è il nickname di un travestito.
E' uno spazio aereo largo qualche chilometro utilizzato in prevalenza dai voli civili che salgono o scendono dall'Africa.
In prevalenza.
Sì perchè ogni tanto si fa un giro da quelle parti anche qualche aereo militare, o almeno così si dice in giro.
Unendo i plots generati quella sera si disegna una rotta lineare, un percorso nei cieli.
Eccoti lì, IH870. Che ti è successo?

La matita si alza dal foglio nel posto sbagliato. Questa linea si interrompe dove non deve, dove non si può, in mare aperto lontano da qualunque possibile testimone, in un luogo segnato sulle carte nautiche come "punto Condor".
Lì dove si trova la "fossa del Tirreno", l’unica area di questo mare in cui l'abisso sprofonda per 3.620 metri.
Lì dove l'acqua è fredda e la luce non filtra, dove anche ai pesci mancherebbe l'aria.
Vicino all'ultimo plot relativo allo I-TIGI, lì in mare aperto, ve ne sono altri.
Non due o tre.
Di più.

Il National Trasportation Safety Board è un ente statunitense di grande prestigio, al quale tutti i paesi si rivolgono in caso di disastri aerei.
L' NTSB studiando quei plots ha detto una cosa, una cosa che molti si aspettavano.
"...un oggetto non identificato ha attraversato la zona dell'incidente da ovest a est ad alta velocità (350 nodi) più o meno alla stessa ora dell'incidente".


Forse un gabbiano scappato di casa, o più verosimilmente un alieno in ritardo per cena.
Sicuramente un UFO.
Unidentified Flying Object.
Una cosa che sai che c'è ma che non sai cos'è.
Il radar ogni sei secondi lo vede e te lo dice, con discrezione, ma te lo dice.
Poveretto il radar di Roma, più lontano guarda, peggio vede. Sembra un nonnino miope.
Vede soltanto oggetti che si muovono ad una altezza superiore a 20000 piedi (6100 m), l'altezza minima di detenzione.
Questo significa una cosa molto simpatica: che se voi pilotaste un caccia militare e voleste fare uno scherzetto scemo al radar, potreste volare al di sotto di quella soglia e scorrazzare allegramente per i cieli senza essere individuati, per poi salire oltre i 20000 piedi, dire "marameo" e scomparire di nuovo nel nulla.
Oppure, invece che dire "marameo", sparare un missile e colpire l'obiettivo sbagliato.
Che so, un aereo civile che si sta dirigendo verso Palermo.
Per esempio.

Sempre per esempio, qualcuno ha detto che sotto l'aereo Itavia volava un Mig libico e che un aereo della NATO per colpirlo, ha accidentalmente centrato l'I-TIGI.
Quel caccia sarebbe stato di ritorno dalla Jugoslavia dove aveva fatto la manutenzione e si sarebbe nascosto sotto l'I-TIGI per nascondersi ai radar della NATO.
Oppure l'obiettivo sarebbe potuto essere l'aereo dell'Air Malta che volava sulla stessa rotta ma con un ritardo di circa tredici minuti sul piano di volo.
Sì perchè Malta aveva deciso di liberarsi dell'influenza politico - militare della Libia e questo al colonnello Gheddafi non andava proprio giù.
Un uccellino ha detto che un Mig libico voleva abbattere con un atto terroristico l'aereo maltese e invece ha colpito per errore l'aereo I-TIGI.
Ma il radar queste cose non le dice, lui si ostina silenzioso a visualizzare puntini luminosi sullo schermo. Lui opinioni non ne ha.
Peccato, perchè lui è quello più informato.


Le trascrizioni delle comunicazioni

Ore 18,56,54 Zulu - ore 20,56,54 locali
IH870 - "Roma, buonasera. È l'IH870."
Roma - "Buonasera IH870, avanti."
IH870 - "115 miglia per Papa-Alfa... per Papa-Romeo-Sierra, scusate. Mantiene 250."
Roma - "Ricevuto IH870. E può darci uno stimato per Raisi?"
IH870 - "Si: Raisi lo stimiamo per gli uno-tre."
Roma - "870 ricevuto. Autorizzati a Raisi VOR. Nessun ritardo è previsto, ci richiami per la discesa."
IH870 - "A Raisi nessun ritardo, chiameremo per la discesa, 870."
Roma - "È corretto."

La cabina di pilotaggio di un aereo non è molto spaziosa, c'è giusto lo spazio per muoversi ai comandi e per stare in piedi quando si ha bisogno di sgranchirsi le gambe.
Allora, impostata la rotta, ci si può permettere un minimo di relax e così chiacchierare di tutto un po'.
Non si ha il pensiero che ogni singola parola detta passerà attraverso i microfoni e attraverserà centinaia di chilometri per essere registrata a terra su un nastro che scorre silenzioso:
"Allora siamo a discorsi da fare... [...] Va bene i capelli sono bianchi... È logico... Eh, lunedì intendevamo trovarci ben poche volte, se no... Sporca eh! Allora sentite questa... Gua..."

18,59,45 Zulu - ore 20,59,45 locali ultimo segnale dell'aereo

Un incidente, il cedimento strutturale di un aereo, non interrompe istantaneamente una persona che sta dicendo "Gua...".

19,04,28 Zulu - ore 21,04,28
Roma - "IH870!, IH870!, IH870!"
Nessuna risposta. Neanche oggi dopo quasi 30 anni.

Qualcuno dice che le verità vengono sempre a galla, e io ci credo. E' così vero che, quando nonostante le indagini questo non accade, è perche esiste una forza che tiene ancorato al fondo ciò che non deve salire in superficie.
Nessun alfabeto al mondo è adatto per esprimere quello che non si vuol dire.
Perchè a volte
la verità è più dolorosa del silenzio.

"India Hotel Otto Sette Zero" è il nome di un volo.
Un volo sul quale ci sarebbe molto altro da dire.

domenica 4 febbraio 2007

C'era una volta Alcatraz


La copertina del libro di Diego Cugia

''Sono anni che viviamo in questa cella. La felicità non sai cosa sia, la libertà neppure, i desideri neanche. Io sono evaso per insegnarti a sognare'' "Sono tornato per vedere se ci riesce ancora di limare le sbarre insieme per riguadagnare un po' di libertà in questa tetra realtà. ""Un uomo solo davanti al muro è un uomo solo ma due uomini che guardano il muro è un principio d'evasione."
J.F.


Era il 1998. Nell’”ufficio delle libertà”, come era stato goliardicamente ribattezzato il mio ufficio, suonavano in contemporanea le solite 6 o 7 radio. Era un immondo, sovraffollato ma luminoso stanzone che la propaganda aziendale chiamava openspace.
Dalla radio del mio vicino di scrivania arrivava una voce ferma, suadente che mi convinse a vincere il torpore digestivo del primo pomeriggio e ad avvicinarmi. Fù un’epifania, una rivelazione, il primo incontro con Jack Folla.
Alcatraz era il nome del programma perché era da lì, nella finzione narrativa, che Jack parlava, ingiustamente incarcerato e in attesa dell’esecuzione.
E Jack, non avendo nulla da perdere, parlava. Parlava a ruota libera di sentimenti, di rabbia, di politica, delle piccole ipocrisie personali e di quelle grandi, raccontando senza paura “la follia di un’intera società dominata da piccoli dittatori prepotenti educati solo a prendere e l’arroganza di chi ha confinato i nostri sogni negli scaffali dei supermercati, tra sottilette e deodoranti”.

Diventa in pochi mesi una trasmissione culto. Jack fa scandalo, divide: o lo odi o lo ami. E’ quasi sempre sopra le righe, ha questo tono vagamente predicatorio ma lo ascolti e le cose che dice ti sembra di averle sempre pensate, anche se non te ne eri mai reso conto.
Arrivano ogni giorno alla Rai centinaia di lettere, fax, telefonate. Alcune sono piene di invettive, di insulti ma la maggioranza sono dichiarazioni di un amore sconvolgente. “Jack Folla, l’uomo come tutti, il nostro alter ego clandestino, che scuote le coscienze, l’uomo antisistema, come noi vorremmo essere, come forse siamo”.

Ma Jack Folla, udite - udite, non esiste. La voce suadente, calda è dell’attore e doppiatore Roberto Pedicini mentre i testi, le parole sono di Diego Cugia, giornalista, scrittore e autore televisivo ad esempio dell’ultimo Gianni Morandi – “Non facciamoci prendere dal panico” - e della sua “deriva cattivista” tanto bersagliata da Fiorello.
Nel 2002, dopo quattro anni, Cugia decide di mettere la parola fine e Jack Folla se ne va, per sempre. "Non muore, è un addio e gli addii non si annunziano, si compiono. È la loro violenza, la violenza del silenzio che segue, ad essere inevitabile come quando si muore. Jack smette di dire i suoi no perché è stanco … Continuare non avrebbe senso, significherebbe cadere nella fiction, innalzare un monumento, e di Jack si può dire tutto tranne che sia un personaggio falso … Se oggi ho deciso di mettere fine alla storia di Jack non è per vigliaccheria, né per un tradimento, è solo per un gesto d'amore"

In tanti abbiamo amato Jack fino ad arrivare al limite puerile, ridicolo, umano di riconoscerci in lui. Per alcuni non è stata una semplice trasmissione radiofonica ma una radio-terapia di gruppo.
Ma Alcatraz, con tutti i suoi limiti, le sue finzioni un merito comunque lo ha avuto. Quello di averci lasciato intravedere la parte più impresentabile, ma non per questo peggiore, del nostro io. Quello di aver provato a farci immaginare come potrebbe essere il mondo, il nostro mondo, se solo riuscissimo per un attimo ad abbassare le nostre inutili e ridicole maschere.


E per chi non lo avesse mai conosciuto ecco alcuni, forse tra i più belli, dei monologhi di Jack (gentilmente estratti dalla collezione privata di Samuel).

Ragazza che non ho
Donne in rinascita
Conformismo dell’anima
Fratello tu chi sei?


Hasta siempre Jack