martedì 1 giugno 2010

Invio





"Nonostante l'Araba Fenice sia una creatura mitica partorita da un'umanità ingenua e superstiziosa, sarebbe argomento non soltanto erroneo ma del tutto approssimativo e superficiale volerla identificare quale antiquato vestigio di uomini rozzi e incolti".

E' un giovedì pomeriggio e nelle aule dell'Università i pochi studenti e professori rimasti boccheggiano oppressi dall'afa e dal classico torpore post-prandiale pomeridiano.
Non si può dire lo stesso dell'aula 8E. La dozzina di studenti che la occupa si è disposta sui banchi delle prime file e ascolta con viva attenzione un giovane professore, giacca e jeans, conosciuto per il passo sicuro ed elegante, rinomato presso studenti e colleghi per la sua capacità di tratteggiare la Storia per quello che appare ai romantici, un racconto avvincente denso di colpi di scena e capovolgimenti di fronte.
Peccato però, oggi qualcosa nel suo fare tradisce un'inquietudine sottesa, la sua voce solitamente calda e modulata vibra indecisa e si spegne stanca in corrispondenza delle ultime sillabe.

"Venerata dagli Egizi che la credevano originaria dell'Arabia, terra per loro sconosciuta e misteriosa, l'Araba Fenice si presenta nelle raffigurazioni che la ritraggono come volatile di sgargiante piumaggio e insolite abitudini, ascoltate a tal proposito cosa si legge qui nelle Metamorfosi di Ovidio, elegiaco romano vissuto a cavallo del I secolo avanti Cristo:

“ma vi è un unico uccello, che si rinnova e da sé si rigenera: gli Assiri lo chiamano Fenice; non di frumento né di erbe, bensì vive di lagrime di incenso e di stille di amomo. Quand'esso ha compiuto cinque secoli di vita, con le unghie e con il puro rostro si costruisce un nido fra i rami di un leccio o nella sommità di una flessibile palma. E non appena qui vi ha cosparso spighe di delicato nardo e trito cinnamomo e fulva mirra, sopra vi si adagia e fra gli aromi conclude il suo tempo."
Ora, accostando questa descrizione alle altre delle quali siamo in possesso, scritte da diversi autori nel corso di epoche non troppo distanti tra loro, giungiamo alla parte più significativa della sua vita, la morte; e non si tratta si un banale gioco di parole: l'Araba Fenice, al termine dei 500 anni di cui consta la sua esistenza, arde in un rogo dalle cui ceneri rinasce una nuova fenice in un ciclo perpetuo.
Bene, non vi dirò che questa leggenda corrisponde alla realtà, posso soltanto constatare con voi che essa esiste ancora ed è arrivata a noi attraversando terra, mare e tempo:
raffigurazioni dell'Araba Fenice si trovano oggi ovunque, in Europa, nel Nord Africa, in Oriente, nelle chiese e all'interno di catacombe della cristianità. Nelle piramidi, impresse sulle monete dell'imperatore Adriano. Sue raffigurazioni si trovano in edifici gotici, se ne cantano le gesta e i coinvolgimenti persino nei poemi inglesi fino a che nel 1600 essa diventa l'emblema dei Rosacroce, associazione segreta antesignana della massoneria francese.
E' evidente quindi che la leggenda ha in un certo senso lasciato il posto alla realtà, l'Araba Fenice è davvero immortale e infatti a suo modo esiste ancora.
Ma.
Ma, a meno che non vogliamo credere alla leggenda e affermare come una realtà di fatto la sua esistenza -non sia mai-, dobbiamo chiederci cosa ha reso immortale questo emblema semplice nella definizione e al tempo stesso profondo in quanto a significato.
Dicevamo all'inizio, stiamo parlando di un simbolo che come tale rappresenta un'aspirazione, un oggetto di fede e riflessione per tutti gli uomini a prescindere dall'epoca nella quale vivono: risorgere dalle proprie ceneri, ricomporsi dal nulla nel quale si è scivolati e librarsi nuovamente in volo, adornati di colori energici e vivaci è un'immagine motivante, un'ambizione che accompagna qualsiasi percorso di nobilitazione umana.

Ecco, questa è l'Araba Fenice, il disegno di un'idea, la speranza di risollevare la nostra condizione per quanto disperata sia la situazione nella quale versiamo, in sostanza essa raffigura qualcosa di cui nessun uomo può fare a meno, soprattutto oggi che due pericolosissimi estremi, vergogna e gloria, ci confondono in egual misura... ehm scusate, per oggi concludiamo qui. Pagine 172 a 179 del libro di testo".

Silenzio. Sguardi che seguono l'insegnante che si riavvicina alla cattedra visibilmente turbato. Poi il trillo della campanella che sancisce la fine delle lezioni, qualche discreto accenno di saluto da parte degli studenti dopo di che nell'aula deserta resta soltanto il professore.
Esaminato pensierosamente il display del cellulare, le sue dita scorrono veloci sulla tastiera componendo un breve messaggio di testo: "E' vero, la maggioranza di noi nasce e muore una volta sola. Ma se decidi di ribellarti ai tuoi errori, se ritieni di aspirare a qualcosa di meglio, se davvero desideri rinascere, allora dovrai dimostrarti coraggioso ed essere disposto a morire. Tutte le volte che sarà necessario." Invio.