lunedì 26 maggio 2008

1209 A.D.




Scende l’oscurità, calano le tenebre.
L’antico borgo si quieta, i rigagnoli maleodoranti riprendono a scorrere, le porte si chiudono dietro uomini che si ritirano nelle loro stanze disadorne, dentro casupole di pietra e legno riscaldate da ciocchi scoppiettanti.
La sera diventa notte, densa e silenziosa, senza luna, priva di stelle, non abbastanza fredda ma pungente, come il rimprovero di chi non c’è più.
La brezza soffia sinuosa e con un sibilo inquietante spazza le soglie di ingressi tetri e polverosi, portando via tutto ciò che di inconsistente è stato distrattamente abbandonato.
E lo sguardo si distende.
Avvinto dall’immagine di un'imponente abbazia che si erge solenne, opera magistrale di anonimi maestri artigiani, conoscitori di antichi e celati saperi.
Qualcosa si vede.
Da una piccola apertura sul torrione occidentale si diffonde il chiarore diffuso e tremolante di una candela al crepuscolo della sua esistenza.
File di scaffali disposti in mezzo alla stanza e contro le pareti sono gli immobili custodi un sapere tramandato nel corso dei secoli, da parte di uomini votati alla perpetuazione dell'erudizione e dell’ignoranza, della libertà e della censura.
Allo scrittoio debolmente illuminato siede ricurvo un vegliardo incappucciato che avvolto nel freddo e nella solitudine della notte, porta avanti il suo compito, la sua missione.
Gli occhi spenti, il respiro rantolante, la sua mano trascina la penna macchiata di nero su fogli gialli e rugosi, tracciando segni e lettere accuratamente trascritti dal testo originale.
Impossibile evitare che l'ultimo bagliore di questa notte opprimente nel suo dilagare svanisca.
Il respiro si fa breve e affannato, le pupille si dilatano per un’ultima volta, una folata d’aria entra improvvisa e la fiamma soffoca, lasciando uno stoppino interdetto e fumante.
Il buio sovrasta ora ogni cosa.
La penna abbandonata sul pavimento, una rigaccia scomposta chiude l’ultima frase abbandonata sul foglio:

et vita erat lux hominum et lux in tenebris lucet et tenebrae eam non conprehenderunt"

“e la vita era la luce degli uomini. E la luce risplende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno sopraffatta.”

lunedì 19 maggio 2008

Tutti gli ombrelli che ho perso




Io con gli ombrelli sono un disastro: riesco sempre a perderli.

Qui a Torino negli ultimi giorni ha piovuto un po'. Credevo che questa volta sarei riuscito a non perdere l'ombrello. Questo me l'avevano regalato i miei genitori: era piccolo, automatico, piuttosto elegante. Pensavo che fosse tutta questione di concentrazione; io l'ombrello lo devo seguire, ricordare che ora è appoggiato per terra vicino al sedile, poi nel portaombrelli, dopo appeso chissà dove. Caspita. È tutta questione di concentrazione. Pensavo - questa volta ce l'avrei fatta!

Niente. Io con tutti gli ombrelli che ho perso, ci avrei aperto un redditizio negozio. E continuo a perderli! All'inizio credevo si trattasse di una semplice sbadataggine. Questo mio essere sempre sulla luna, pensavo. Invece, ora ho capito tutto: io gli ombrelli non li voglio, non li so tenere. Tutto qui.

Il mio primo ombrello era elegante raffinato eccentrico. Aveva mille colori. Ma io devo averlo tenuto troppo stretto, forse ho avuto poca pazienza, troppa impulsività, non so. Credo di averlo rotto, prima di averlo perso per sempre.

Il secondo che ho perso, se ricordo bene, era a dire il vero di scarsa qualità. Però era così bello... A me quell'ombrello faceva impazzire! Forse il problema fu questo: ero troppo attaccato, troppo attento a quell'ombrello. Mi pareva fragile, ma non potevo esserne schiavo: lo mollai volutamente in mezzo ad una strada. Che peccato!

L'ultimo invece, era tecnicamente perfetto. Aveva un'impugnatura solida, ergonomica; la sua struttura era particolarmente resistente, il tessuto spesso. Anche questo, come il primo, era un ombrello molto elegante. Temo di averlo prestato a qualcuno in un giorno di pioggia. Che sfiga!

Forse devo rinunciare all'idea di avere un ombrello tutto mio, o forse imparare ad averne cura nel modo giusto. Ci sarà un corso per tenere l'ombrello? Fortuna che mi viene in mente quella bella e un po' lasciva poesia di D'Annunzio, e penso che a volte è bello godersi una pioggia fresca...

Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i melleoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.

Gabriele D'Annunzio, estratto da "La pioggia nel pineto"

giovedì 8 maggio 2008

Respiro



"Respiro" di Grazia Redaelli

Immobile, Respira
Concentrati sull'odore dell'aria umida che sibila nelle tue narici, mentre si espande nei tuoi polmoni, porta con sè la Vita.
Osserva, Respira
Una ragazza si muove veloce sotto il porticato deserto, con i capelli lunghi e fradici; sorridente si lascia accarezzare dal profumo che emana il mazzo di rose avvolto tra le sue bracccia.
Ascolta, Respira
Le corde di un mandolino, pizzicate da un dignitoso vecchio che non chiede nulla, note dolciastre che rievocano immagini sfuocate, sospese come tende al vento nei meandri della memoria.
Senti, Respira
Conta le migliaia di gocce di pioggia che si schiantano fragorosamente una a una sul tuo viso, dopo una caduta libera e solitaria di centinaia di metri. Cosa ti hanno portato?
Vivi, Respira, contempla il tuo Respiro.

Celebra il giorno della rivincita
sulla Paura

lunedì 5 maggio 2008

TDK


"Non c'è niente di divertente in un clown al chiaro di luna". Lon Chaney



Cose da bambini

Daniel is back


Daniel è tornato.
"To Desire" è il suo ultimo pezzo, elettronico, frenetico quanto ansiogeno, colonna sonora di un tempo nel quale è diventato fin troppo facile desiderare e inseguire cose che hanno la cattiva abitudine di continuare a sfuggirci.
Questa non è l'epoca delle mezze misure, non ha senso ascoltarlo a basso volume: sarebbe come guardare un tramonto con gli occhiali scuri.
"To Desire" non è una canzone, è una corsa a perdifiato per le affollate vie del centro tra quelle migliaia di figure che, pur camminando, stanno correndo la maratona della vita come se si trattasse dei cento metri piani.

Dove stai andando?

To Desire (clicca per ascoltare)