lunedì 31 marzo 2008

Giocattoli



Una giornata grigia, il cielo che non si commuove.
Il pomeriggio dopo i compiti, quello deludente dal quale non ci si aspetta nulla.
Un bimbo. Il giubbottino incautamente aperto nel freddo pungente e una scarpa slacciata. Il viso di chi ha appena smesso di piangere e il naso che di tanto in tanto tira su.

"Figli piccoli - problemi piccoli", già, il mondo visto dalla parte dei genitori, accidenti. La verità è che l'angoscia non ha età. Esiste anche a otto anni.
Con l'aggravante che è un sentimento abbastanza nuovo.

Una fila di negozietti anonimi con i neon accesi e una fastidiosa luce bianca che cela innaturalmente tutte le ombre.
Poi una vetrina illuminata da una luce calda, avvolgente, a metà tra il giallo e l'arancione.
Giochi. Solo e semplicemente giochi.
La passeggiata si interrompe, il viso si illumina, il naso e le mani premono sul vetro mentre il fiato condensa in un umido alone intermittente.
Confezioni gialle, verdi, fucsia che racchiudono bambole e automobiline, custodi di desideri e speranze che non si è mai saputo a chi raccontare.

Spingere la pesante porta arrugginita con tutte le proprie forze è il prezzo da pagare per guadagnare l'accesso a questo mondo, fatto di sogno e fantasia.
L'accoglienza la fa un pupazzo gigante con le sembianze di un orso che fa ciao ciao con la zampa e un'esposizione di bamboline con le guance paffute e quell'espressione poco intelligente rintracciabile comunemente anche al di fuori dei negozi di giocattoli.
L'effetto, la sensazione potrebbe essere quella di un esploratore ottocentesco che fa il suo ingresso in una tomba egizia perfettamente conservata.
A dir la verità l'odore di chiuso potrebbe essere lo stesso.

Dietro il bancone una donna, il viso rugoso, i capelli sbiaditi e arruffati di chi ha rinunciato alla vita da molto tempo, un golfino sgualcito le copre le spalle.
La mano tremolante scorre sulle foto di un album aperto sempre alla stessa pagina.
Da dietro le spesse e opache lenti, due pupille convergono sull'ospite inaspettato.

La voce malferma riga il silenzio: "Mi dispiace, per te qui non c'è nulla".

martedì 25 marzo 2008

Singles per scelta (altrui)

"Il single complessato e in crisi di astinenza tende a diventare romanticamente cupo, nella convinzione che - in assenza della Ferrari - sulle donne faccia colpo la frase memorabile di qualche poeta morto suicida.
Ma alla fine sono esseri umani, mica psicanaliste: vogliono divertirsi ed essere trattate con leggerezza, che è cosa assai diversa dalla superficialità."

Massimo Gramellini, Specchio 22/03/2008

lunedì 17 marzo 2008

Notte (pro)fonda



Frecce infuocate corrono nella notte.
Luci bianche rosse e giallognole squarciano il buio
dell'autostrada.
Motori rombano nel silenzio della campagna che fugge
silenziosa e inerte in contromano.
Pneumatici artigliano l'asfalto nero e lucido
scaldandosi, aderendo, consentendo curve pericolosamente
paraboliche, ai limiti della tenuta.


Rallentano, devono.


E' una notte di fine luglio, il caldo, l'afa,
l'interminabile coda al casello.
Auto disposte in file ordinate che procedono di qualche
metro ogni minuto, sguardi fissi e stanchi,
l'illuminazione arancione delle lampade antinebbia che
getta sinistri lampi su sagome immobili e meditanti.

Contenitori di lamiera su quattro o più ruote che
covano storie non raccontate, pensieri confortanti,
emozioni ancora vive anche se lontane.
Finestrini abbassati, bimbi che dormono, donne che
sognano, autisti che sanno quanto si possa imparare
viaggiando: anche se vai e torni sempre negli stessi
posti.
Villeggianti scalpitanti, con i portapacchi carichi e i
portafogli vuoti, nervosi e rilassati a momenti alterni.
Autoradio, una per automezzo, il volume basso e l'illuminazione blu, il deejay
che per lavoro ci tiene a farti compagnia, parte il ritornello di una canzonetta
spensierata.

Un ragazzo scuote la testa più volte, tiene un braccio
fuori dal finestrino, sembra abbracci la portiera.
In mano un oggetto che brilla.
Tra le sue dita rotea un anello, ogni tanto si sofferma a
fissare ciò che gli sta accanto.
Un sedile vuoto.

Sono le 3 e 12 minuti.
E non importa a nessuno.

mercoledì 12 marzo 2008

Introspezione da bar


Immagine tratta da onde.net

Una mattina fredda e soleggiata, il contesto ideale per una colazione al tavolo d'un bar.
Il sole che illumina i visi assonnati di lavoratori sfiniti ancor prima di iniziare, il rumore delle stoviglie maneggiate dietro il bancone, qualcuno dà un'occhiata ai titoli dei quotidiani sorseggiando da una tazzina il cui contenuto sembra non esaurirsi mai.

Una signora di mezza età, distinta e vagamente seriosa mi scruta nel riflesso dello specchio, alcuni le si rivolgono chiamandola dottoressa, forse le ricordo qualcuno o forse nello specchio vede soltanto una signora di cui andare orgogliosa.
E poi l'odore del caffè, avvolgente e affascinante come la grazia innata e inconsapevole nei gesti di alcune donne.

Guardo oltre la vetrata.
Per un attimo penso che a volte mi viene davvero difficile essere me.

Poi il mio sguardo si sposta sullo schermo piatto appeso alla parete; c'è una trasmissione televisiva dove si vedono un centinaio di ragazzine che piangono e strillano alla vista del loro idolo, un cantante il cui maggior pregio è quello di dire e fare cose a loro gradite.
Lui non si scompone, manda qualche bacio, firma con distacco qualche autografo e poi se ne va mentre le telecamere inquadrano quel misto di religiosa contrizione e fasullo misticismo che sparge dietro di sè.

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Mentre aspetto al semaforo ripenso al fatto che a volte mi viene difficile essere me.
Immediatamente mi rispondo che anche se non è facile, lo preferisco all'essere nessuno.