giovedì 19 novembre 2009

La maledizione del faro



Ragionare lucidamente.
Cogliere la sottile differenza tra le diverse visioni che animano un acceso dibattito.
Intercettare le tenui sfumature che contraddistinguono inferenze apparentemente incontrovertibili richiamando così a un’opportuna perplessità i propri interlocutori.
E per questo acquisire credito.

Riscuotere lodi ed elogi, materializzarsi quale oggetto di speranza per i confusi, faro nella nebbia per fragili scialuppe agitate da quei violenti e furiosi flutti che sono i sentimenti: ispirare così rispetto, ottenere considerazione.

Ma quando arriva il momento di occuparsi di sé, del proprio stare al mondo, se lo sguardo mira all’immagine riflessa nello specchio, agli interrogativi personali, ai dubbi interiori, alle proprie incertezze, ecco che enigmi e indovinelli decadono da qualunque loro effetto intellettualmente stimolante, d’improvviso cessano dal suscitare curiosità e altruistico interesse.
Scuotono.
Minano le fondamenta di quell’edificio immateriale così attentamente composto nel corso di innumerevoli momenti di riflessione e doloroso isolamento messo a frutto.
La lucidità lascia il posto alla vertigine, si prende consapevolezza che il faro, così tanto amato per il ruolo quale guida nella nebbia ottundente della notte, arriva con il suo fascio in lontananza e illumina ogni cosa a eccezione di se stesso.
Il credito, le lodi e gli elogi appaiono dunque immotivati, conseguenze fraudolente di banali idealizzazioni, pare quasi di essersi impossessati con l’inganno di lusinghe immeritate, sottratte a personaggi ben più degni, meno illusori.

E’ la maledizione del faro: avere il potere di operare per gli estranei tutto ciò che non si è in grado di ottenere per se stessi.

3 commenti:

danilo a. ha detto...

Forte...

Samuel ha detto...

Geniale, Andrea.

Eccezion fatta quando sono due, i fari!
;-)

Daniel Faw ha detto...

Bellissima Andrea.... ;)