lunedì 12 luglio 2010

Militari senza armi





Giza. الجيزة Al-Gīzah per gli abitanti di questi luoghi.
Per il momento è ancora oggi, 3 luglio 1916 ma domani è alle porte, il sole sta abbandonando esausto questo mondo rassegnandolo agli inquieti sospiri delle brezze notturne.
Scrivo queste righe seduto sulla soglia della mia tenda mentre giovani beduini accendono il fuoco e vecchi mistici senza età guardano interrogativi l'orizzonte arancione, il mento abbandonato in una smorfia sul manico di bastoni nodosi.

Questa tenda è la casa che ho scelto così come la sabbia che la abita è l'ospite che non posso cacciare.
Queste righe contengono segni, parole e lettere indirizzate a ignoti e casuali lettori i quali spero di tutto cuore, trovando questo foglio arrotolato tra le fessure scavate dal tempo e dagli elementi nel granito di questa necropoli, decideranno di affidare loro un senso.
Quello che gli aggrada maggiormente, non importa.
La ricerca di significato è di per sé luce.
Non è come ci hanno raccontato, gli inferi non abitano il sottosuolo, devastano la superficie del nostro mondo e sono là, dove i significati non rivestono importanza alcuna, dove ciò che conta non è capire e non è sentire: dove quello che serve è riuscire a respirare un attimo in più del tuo nemico: l'inferno alberga nei campi di battaglia e giù nelle trincee.

Il mio nome è Patrick Linton Allen, sono un esploratore e sono inglese, sangue nobile, reputazione dubbia. Porto sulle mie spalle la vergogna di aver lasciato il mio posto nell'esercito, la guerra e l'orrore di una famiglia brutalmente dilaniata dai bombardamenti con la speranza di trascorrere ciò che resta della mia vita, piuttosto che a seppellire commilitoni e persone care, a dissotterrare preziosi tesori e testimonianze di mondi ormai perduti.

Continuo a cercare, tre mesi fa attraversando i ghiacci dei fiordi norvegesi, oggi trascinandomi sotto il sole d'Africa.
Vedo, processo con la mente, rielaboro con il cuore quindi scrivo.
Dissemino i miei pensieri, le mie sensazioni nei luoghi che visito, abbandono qui e là brevi note scritte sui fogli strappati da questa agenda senza sapere se qualcuno le leggerà.
Forse è mera vanità, in realtà vorrei che questo fosse il mio modo di contraccambiare a ciò che questi luoghi mi hanno gratuitamente donato:
una speranza.
Ho abbandonato tutto, le mie tenute, le scuderie e la servitù e sono diventato un disertore, un fuggiasco, un infame senza valore e senza dignità.
Non capiscono, accecati non vedono.

In queste ultime settimane ho risalito il fiume prendendo qualche appunto che qui riporto:

Sono le 3 del pomeriggio il sole è ancora alto; fin dove l'occhio giunge nessuna nuvola, solo un ibis attraversa l'azzurro del cielo limpido e si posa sul letto del Fiume, immergendo nervosamente il capo sotto il pelo dell'acqua.
Un vento caldo soffia sul viso abbronzato mentre passo dopo passo, cercando di non affondare nella sabbia incandescente, riesco a raggiungere la sommità della duna.
Ora che la prospettiva prende forma, la vista che mi si offre è unica ed emozionante: quattro statue alte venti metri sorvegliano l'ingresso di una tomba.
Abu Simbel, finalmente: mi rendo conto che le raffigurazioni riportate sui diari di viaggio che avevo consultato prima della mia partenza erano del tutto fuorvianti.
Mancavano i colori e le ombre.
Rapito, incapace di una qualunque reazione che non sia la muta ammirazione, contemplo la pietra gialla attraverso le lenti scure degli occhiali; quando torno in me prendo dallo zaino un'agendina nera dalle pagine del colore di quella pietra e scrivo una breve frase con una matita rossa.

E' qui davanti a me e la riporto su questo foglio, la mi mano trema ancora:
"Non serve l'uniforme, non serve l'odio, non c'è necessità di uccidere. Annientare il prossimo è fuggire da se stessi e non voler accettare che

in verità, le battaglie più grandi si combattono dentro di noi".


Sir Patrick Linton Allen
Esploratore, uomo, campo di battaglia
Militare senza armi

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