Il mio occhio sinistro, Samuel
Al di là dei suoi occhi color nocciola, ravvedo un'espressione fiera e sicura.
È straordinariamente bella!
Potrebbe fare la modella, o lavorare nel mondo dello spettacolo, non so. Ma che sa di essere bella si capisce.
Per qualche istante i nostri sguardi si sono incrociati. In tutto quattro nocciole, ferme. Forse le mie hanno detto queste cose alle sue.
Poi, lei ha sorriso.
giovedì 25 settembre 2008
Sorriso
giovedì 18 settembre 2008
Perchè si sogna?
L'enorme esplosione spezza il silenzio, una nuvola di fumo denso sale verso il cielo avvolgendo l'edificio. Si odono delle grida, gli antifurto delle auto parcheggiate rimbombano nelle vie deserte.
E' notte fonda.
Sul tetto di un palazzo vicino la luce emessa dalle fiamme che divorano ogni cosa illumina un viso: una sigaretta si consuma tra le labbra socchiuse di un uomo dai tratti orientali, forse un cinese.
Tutto secondo i programmi.
Il telecomando rientra nella tasca.
Nessuna espressione facciale, ad accendersi e spegnersi in continuazione è soltanto quella sigaretta, diventata ormai un mozzicone quando, sceso in strada alcuni attimi dopo il boato, sale con il suo impermeabile lungo e grigio su un furgone richiudendo pesantemente il portellone.
Gomme che stridono sull'asfalto e poi nient'altro, solo il rombo di un motore che si allontana.
Uno ad uno gli abitanti degli stabili vicini scendono in strada.
Alcuni barcollano e ondeggiano notevolmente, feriti dalle schegge dei vetri delle finestre infrante dall'onda d'urto, altri, storditi dal boato che ha interrotto violentemente il loro riposo nel momento in cui il sonno è più profondo, non si accorgono di essere usciti completamente svestiti.
Una compagnia di clown dalla comicità inquietante.
Si lasciano cadere a terra, piangono, spalancano gli occhi e la bocca, qualcuno si inginocchia.
Le sirene delle autobotti dei vigili del fuoco giungono lontane, poi sempre più vicine, sembrano non arrivare mai.
Arde ogni cosa, anche l'insegna colorata dello stabilimento, la distilleria Jerry's Whiskey punita per non aver 'collaborato', per non aver accettato la 'protezione' di chi poteva garantirla.
Il fuoco e il fumo raggiungono anche le due finestre che danno sul lato ovest, quello meno investito dall'esplosione, i vetri sono intatti, è l'appartamento del custode.
Padre di tre figli, marito di una moglie con la quale da anni condivide la stessa sorte.
Stanotte.
A ben guardare dietro uno dei vetri si intravede un'impronta chiara.
E' una manina, quella di un bimbo, il più piccolo, che è riuscito a trascinarsi in mezzo al fumo e alle macerie fin sotto il davanzale delle finestra.
Sei anni, abbastanza per capire che l'unica via d'uscita in quel momento sta proprio lì.
Chiusa. La maniglia è troppo in alto.
La mano di un piccolo uomo che batte disperata su di un vetro che non cede, il fumo che ammorba l'aria, il fuoco che invade ogni spazio.
Quella mano che continua a battere, quelle sirene in avvicinamento, a qualche isolato.
Ancora troppo distanti.
Un'ombra.
E' curioso, un'ombra nel buio.
Sfuggente, rapida, indistinta.
Si muove sul tetto ed è visibile a tratti.
Per tutti coloro che osservano, la paura lascia il posto alla meraviglia.
Lo stupore, nel vedere quella figura che corre verso il pericolo invece che verso il riparo, che si dirige proprio in direzione di quella finestra dove una piccola mano, dopo aver tentato un ultimo colpo, scivola debolmente verso il basso, producendo una scia biancastra sul vetro.
La sagoma effettua un balzo nel vuoto e, non si saprebbe spiegare come, manda in frantumi la finestra atterrando con un tonfo sul pavimento.
Poi più nulla.
Passano alcuni minuti e cinque persone sono salve, al sicuro nel cortile dell'edificio, proprio mentre le ambulanze e le autobotti fanno il loro ingresso a sirene spiegate.
Un tuono, gocce di pioggia sempre più frequenti si abbattono sulla furia delle fiamme, trasformandosi in impalpabile vapore.
Una manina, quella di un bimbo con il viso annerito dalla fuliggine e gli occhi arrossati.
Aperta in un saluto, apparentemente verso il vacuo buio di un angolo.
L'infermiera che lo raggiunge esita un attimo, guarda in quella direzione ma non capisce: sussurra qualche parola rassicurante e poi lo prende in braccio, dirigendosi verso i lampeggianti blu.
Una maschera nasconde i lineamenti contratti dello sguardo ansimante.
Nell'oscurità di quell'antro senza luce l'acqua gocciola dal mento e riga l'armatura nera di un uomo con un lungo mantello.
"Tesoro!! Tesoro, ma non ti sei ancora vestito?"
Una mamma trafelata entra nella stanza avvicinandosi alla scrivania sulla quale è appoggiato un quaderno aperto con accanto una matita.
Poco più in là, sul divano, un bambino di otto anni tiene tra le gambe un albo illustrato aperto all'ultima pagina. Sembra assente.
"Ehi signorino, quando li vogliamo fare i compiti eh?"
"Lasciamo perdere... dai se hai voglia di leggere puoi portare i tuoi fumetti con te. Ci aspettano i nonni!"
La fotografia di un giovane uomo che non c'è più risalta dall'alto della mensola.
Sorridente, stringe tra le braccia un neonato.
A volte la realtà è insostenibile.
Spesso la quotidianità non è abbastanza.
Perchè si sogna?
Forse meritiamo di più.
domenica 7 settembre 2008
Felicità sospesa
L'aria frizzante, l'odore della vendemmia, una mattina di settembre.
Davanti al paesaggio collinare si staglia una donna dal viso radioso che stringe nel suo guanto bianco un piccolo bouquet di fiori arancioni. E' appena scesa da un'auto nera addobbata di fiocchi bianchi e rosa attirando l'attenzione, almeno per un giorno, di chiunque si trovi a portata di vista.
E non potrebbe essere diversamente.
Vestita in un abito con tanto di strascico, ariosi boccoli castani incorniciano lo sguardo luminoso rivolto verso una figura elegante e impettita, un uomo dagli occhi pieni di promesse, qualcuno che ha il piglio deciso di chi ha tutta l'intenzione di mantenerle.
E' raro ma capita.
Di percepire momenti come questi come eventi al rallentatore, caratterizzati da una felicità sospesa, da elementi reali, impossibili da individuare razionalmente ma certamente presenti e costitutivi di esperienze non eclatanti ma semplicemente genuine, per questo indimenticabili.
E' il giorno per eccellenza, la data per antonomasia, irripetibile nella sua leggera solennità, indimenticabile per il contenuto di umanità che ora vi si rappresenta.
L'umanità, anche quella di un padre, emozionato ma vigile che passeggia annuendo tra gli invitati festanti, quella di una madre, sfinita dalle emozioni che si sorregge a una sedia martoriando il povero fazzoletto tra le dita.
Due facce dello stesso sentire, il passato che soprintende coscienzioso alla costruzione del futuro.
Un rosso corposo si ossigena nel calice di un commensale gesticolante, un susseguirsi continuo di suoni si fonde in un'orchestra di elementi inconsueti: il tintinnio delle posate che scivolano sui ricchi piatti che escono dalla cucina, la risata sincera e coinvolgente di un bimbo che segue rapito il volo di una farfalla variopinta, il mormorio emozionato degli amici agghindati per l'evento con i loro abiti migliori.
Una foto tutti insieme.
E' raro ma capita.
Di percepire momenti come questi come eventi al rallentatore, caratterizzati da una felicità sospesa, da elementi reali, impossibili da individuare razionalmente ma certamente presenti e costitutivi di esperienze non eclatanti ma semplicemente genuine, per questo indimenticabili.
La felicità sospesa: istanti nella memoria come righe sulla superficie del vetro.
Incancellabili.
giovedì 4 settembre 2008
martedì 2 settembre 2008
CDG
Charles De Gaulle, Aeroporto Internazionale di Parigi.
La mezzanotte è passata da un pezzo ma sono troppo stanco per dormire.
Dicembre, attraverso il buio una pioggia finissima inumidisce i vetri della hall lasciando intravedere soltanto le pallide sagome dei lampioni che illuminano le strade d'accesso deserte.
Scomodi sedili grigi che danno sui corridoi raccolgono figure forzatamente composte che tentano il sonno nell'attesa di una chiamata dall'altoparlante.
Un barbone vestito in modo improbabile, un lungo cappotto di lana su maglietta e pantaloncini, ai piedi un paio di sandali, spinge stancamente un carrello colmo di buste della spesa malamente annodate.
Chiede l'ora ma guarda dritto davanti a sè. Poi ricomincia a camminare mentre parla da solo, felice di raggiungere un gruppetto vociante di amici ubriachi.
La pioggia si intensifica, la temperatura cala, sono le tre e il ticchettio delle gocce sulle vetrate accarezza l'udito di turisti sfiniti dal viaggio e dall'attesa.
Un movimento mi distrae: due occhi chiari e un po' arrossati per la stanchezza mi fissano dalla penombra cauti, indagatori.
Parlano, mi sembra chiedano, in realtà non dicono niente, niente che io possa intendere.
Ripeto: ho l'impressione che non volessero dire nulla, o chissà, forse non ho inteso io.
Che importa?
Scomodi sedili grigi che danno sui corridoi raccolgono figure forzatamente composte che tentano il sonno nell'attesa di una chiamata dall'altoparlante.
Un barbone vestito in modo improbabile, un lungo cappotto di lana su maglietta e pantaloncini, ai piedi un paio di sandali, spinge stancamente un carrello colmo di buste della spesa malamente annodate.
Chiede l'ora ma guarda dritto davanti a sè. Poi ricomincia a camminare mentre parla da solo, felice di raggiungere un gruppetto vociante di amici ubriachi.
La pioggia si intensifica, la temperatura cala, sono le tre e il ticchettio delle gocce sulle vetrate accarezza l'udito di turisti sfiniti dal viaggio e dall'attesa.
Un movimento mi distrae: due occhi chiari e un po' arrossati per la stanchezza mi fissano dalla penombra cauti, indagatori.
Parlano, mi sembra chiedano, in realtà non dicono niente, niente che io possa intendere.
Ripeto: ho l'impressione che non volessero dire nulla, o chissà, forse non ho inteso io.
Che importa?
quegli occhi non li ho più rivisti.
Ma io so.
So che oggi sono pieni di lacrime, occhi che non sanno più dove guardare.
So che oggi sono pieni di lacrime, occhi che non sanno più dove guardare.
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