Charles De Gaulle, Aeroporto Internazionale di Parigi.
La mezzanotte è passata da un pezzo ma sono troppo stanco per dormire.
Dicembre, attraverso il buio una pioggia finissima inumidisce i vetri della hall lasciando intravedere soltanto le pallide sagome dei lampioni che illuminano le strade d'accesso deserte.
Scomodi sedili grigi che danno sui corridoi raccolgono figure forzatamente composte che tentano il sonno nell'attesa di una chiamata dall'altoparlante.
Un barbone vestito in modo improbabile, un lungo cappotto di lana su maglietta e pantaloncini, ai piedi un paio di sandali, spinge stancamente un carrello colmo di buste della spesa malamente annodate.
Chiede l'ora ma guarda dritto davanti a sè. Poi ricomincia a camminare mentre parla da solo, felice di raggiungere un gruppetto vociante di amici ubriachi.
La pioggia si intensifica, la temperatura cala, sono le tre e il ticchettio delle gocce sulle vetrate accarezza l'udito di turisti sfiniti dal viaggio e dall'attesa.
Un movimento mi distrae: due occhi chiari e un po' arrossati per la stanchezza mi fissano dalla penombra cauti, indagatori.
Parlano, mi sembra chiedano, in realtà non dicono niente, niente che io possa intendere.
Ripeto: ho l'impressione che non volessero dire nulla, o chissà, forse non ho inteso io.
Che importa?
Scomodi sedili grigi che danno sui corridoi raccolgono figure forzatamente composte che tentano il sonno nell'attesa di una chiamata dall'altoparlante.
Un barbone vestito in modo improbabile, un lungo cappotto di lana su maglietta e pantaloncini, ai piedi un paio di sandali, spinge stancamente un carrello colmo di buste della spesa malamente annodate.
Chiede l'ora ma guarda dritto davanti a sè. Poi ricomincia a camminare mentre parla da solo, felice di raggiungere un gruppetto vociante di amici ubriachi.
La pioggia si intensifica, la temperatura cala, sono le tre e il ticchettio delle gocce sulle vetrate accarezza l'udito di turisti sfiniti dal viaggio e dall'attesa.
Un movimento mi distrae: due occhi chiari e un po' arrossati per la stanchezza mi fissano dalla penombra cauti, indagatori.
Parlano, mi sembra chiedano, in realtà non dicono niente, niente che io possa intendere.
Ripeto: ho l'impressione che non volessero dire nulla, o chissà, forse non ho inteso io.
Che importa?
quegli occhi non li ho più rivisti.
Ma io so.
So che oggi sono pieni di lacrime, occhi che non sanno più dove guardare.
So che oggi sono pieni di lacrime, occhi che non sanno più dove guardare.
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