lunedì 6 novembre 2006

A occhi chiusi

Nel retrobar appiccicoso di un bagno balneare Piero ricontò tra le mani quelle venti collosissime banco­note da centomila.
«Bravo, bravo davvero» lo aveva rassicurato il ge­store del Bagno Europa. «Il prossimo anno ti rivo­glio, ma fammi un po' di sconto, eh?»
Adesso in macchina, solo, coi soliti pensieri: il mu­tuo di una casa troppo grande per lui, l'aspettativa in Regione che stava per scadere, una proposta tele­visiva indecente.
All'autogrill aveva preso torta di mele e cappucci­no, poi si era tuffato tra le riviste, tra i giornali spor­tivi, tra le videocassette scontate del settanta per cento. Una ragazzina lo aveva indicato al padre, e questi gli aveva chiesto se fosse un giornalista del Tg3.
«Sono un imitatore, ho fatto un programma sul se­condo.» «Ah...» aveva bleffato l'uomo fingendo di averlo appena messo a fuoco.
«Ah!» gli aveva fatto eco la ragazzina subito di­stratta dalla videocassetta dei Take That, Ma, d'altra parte, l'aria di un autogrill è pastosa, confusa, dram­maticamente cordiale. Una zona franca di moderni pellegrini che se ne vanno per l'Italia a pigliarselo nel c…. Sì, insomma, così Piero vedeva quegli omi­ni in canottiera e quelle donnine coi sandali bianchi. Forse si amavano anche, ma a quale prezzo? Gli au­togrill li dovrebbero chiudere. Se uno ha voglia di pisciare, piscia all'aperto, se uno ha fame o sete do­vrebbe uscire dall'autostrada e fermarsi al bar del primo paese che incontra. Ce ne dovrebbe essere uno aperto sempre, anche la notte: sarebbe pure un modo per conoscere meglio l'Italia.
Dalla copertina delle «Ore» una biondina con la quarta misura lo fissava con un'espressione strana, come se volesse chiedergli: «Ma quanto guadagna un imitatore?».
Si comprò «Le Ore» con la biondina. Un po' se ne era anche già innamorato, e ci rimase malissimo quando all'interno non trovò neanche una sua foto. Ci trovò invece il servizio di una rossa che sembrava tutta la sua ex compagna di liceo. Era alle prese con tre uomini e, nell'ultima fotografia del servizio, guardava nell'obiettivo con un'espressione come se volesse chiedergli: «Perché non mi fai Ettore Scola?».
Era il suo cavallo di battaglia ma purtroppo la vo­ce di Scola non la conosce quasi nessuno. Eppure lo faceva identico. Un giorno addirittura aveva chiamato Cinecittà e con la voce di Scola si era racco­mandato da solo alla aiuto regista del Postino. Lei lo aveva ricevuto dopo due ore, però aveva anche mes­so le cose in chiaro: «Il cast è chiuso, comunque un provino te lo faccio lo stesso, salutami Ettore».
«'Sto c…..»
Nel provino gli era venuta fuori la voce di Amendola quando fa De Niro e la ragazza lo aveva notato. Da­vanti a Cinecittà aveva socchiuso gli occhi in contro­luce per mettere a fuoco l'insegna che gli sembrava ancora quella dell'epoca del fascismo. Si sentì una comparsa nel'51.

Quando fece girare la chiave nella porta di casa erano le tre e mezzo. Richiuse la porta e rimase in si­lenzio al buio. La lucina della segreteria telefonica lampeggiava.
I messaggi erano tre.
II primo era del suo amico Domenico.
«Oh, domani c'ho du' fi... che vengono da Trie­ste, tienti libero!»
Anche il secondo era di Domenico.
«Sono sempre io, ne viene una e basta, fatti una se...»
Il terzo era di una sconosciuta.
«Ciao, Piero. Noi non ci conosciamo, mi chiamo Caterina. Il tuo numero me l'ha dato il Lanini, avrei bisogno di parlarti, se mi puoi chiamare...»
Caterina. Caterina chi? II Lanini era un impresario di Montevarchi: gli aveva fatto fare qualche serata, poi era stato arresta­to per sfruttamento della prostituzione.
Ogni tanto faceva rimanere le ballerine brasiliane nel locale senza chiedere loro di ballare.
Anderstend?

Chissà, forse anche Caterina era una ballerina. «Domattina la chiamo» pensò Piero.

«Grazie d'avermi chiamata, ora non posso parlare, ci possiamo incontrare a casa mia?»
«Ma per cosa?»
«Mi è venuta un'idea, te ne devo parlare di perso­na.»
Piero respirò dentro la tazzina del caffè. Distese tutti i suoi pensieri. S'interrogò. Non riuscì neanche lontanamente a ipotizzare che cosa volesse questa Caterina.
Clic - lasciate un messaggio - clic: «Son Domenico, 'un è venuta neanche una di quelle du' tr…, icché si fa stasera?».
Dlin, dlon. Il campanello suona come nelle scenet­te dei villaggi turistici. Dlin, dlon, davanti a una casa grande, borghese, importante.
Bzzz, e si apre prima il cancello e poi un portone di legno scuro che fa apparire Caterina. Castana chiara, un metro e settanta, magra, gli occhi dietro un paio di occhiali minuscoli. Un sorriso. Piero che le tende la mano, lei che risponde al suo «ciao» con uno «scusa se ti rompo le palle». Un altro sorriso, questa volta giustificato da tanta franchezza.
«Signorina, io ho finito, ci vediamo domani.»
Adesso i due sembrano soli in casa. Caterina si si­stema a sedere sul divano, lo sguardo sopra una vi­deocassetta, un leggero imbarazzo.
«Il Lanini mi ha detto che imiti le persone in ma­niera impressionante.»
Piero è distratto dalle foto incorniciate nell'argen­to: Caterina al mare, Caterina sugli sci, Caterina ve­stita da uomo.
«Ti voglio pagare per un esperimento» arriva diret­ta al punto la ragazza togliendosi gli occhialini. La vi­deocassetta passa dal tavolino alle mani di Piero.
«Potresti imitare il ragazzo che parla delle sue va­canze in questo video?»
«Perché?»
«Perché mi piacerebbe riparlarci e farmi dire delle cose che lui non mi direbbe mai.»
«È morto?»
«No, mi ha lasciata. Tre anni insieme e poi ha incon­trato quella che dice essere la donna della sua vita.»
A Piero scappa quasi da ridere ma la ragazza lo anticipa con un sorriso.
«Sono pazza, eh?»
«Sì.»
«Quanto tempo ti serve per studiarlo?»
«Tre o quattro giorni.»
«Tra una settimana ci rivediamo. Quanto vuoi?»
«Mah, non so, fai te.»
A casa Piero si preparò una pastasciutta, poi infilò la cassetta nel videoregistratore. Subito provò un'istinti­va antipatia per quel ragazzo abbronzato, con i riccioli, che raccontava, sforzandosi di essere divertente, una sua vacanza in Africa con safari e tutto il resto. Una vo­ce anonima, senza personalità. Solo un leggero accen­to faceva intuire una lontana origine veneta.

Mise in pausa, il ragazzo rimase immobile a occhi chiusi, un sorrisetto deficiente gli si dipinse sul volto. Doveva essere cattivo o forse, ancora peggio, sempli­cemente stupido. Che cosa ci trovava Caterina? Quando si è innamorati, si dovrebbero mostrare dei video del proprio amato a persone totalmente disin­teressate. Una specie di esame, di controllo. C'è sem­pre una verità su tutto. L'amore spesso la nasconde.

Quel lunedì Piero telefonò subito a Caterina. «Sono già pronto.»
«Davvero?» squittì forte la ragazza, emozionata. «Credo di sì.»
Si ritrovarono quel pomeriggio stesso. Caterina era elegante e ben truccata.
«Allora cominciamo?»
«Certo» rispose Piero.
La ragazza si sedette sul divano, chiuse gli occhi e, con voce dolcissima, gli chiese: «Ale, come stai?».
Ale e Caterina chiacchierarono fino alle dieci di sera.
Quella volta, Piero parlò per ore, senza un testo, senza una scaletta, seguendo l'ispirazione.
Caterina lo ascoltava estasiata.
Quando sì separarono, Caterina gli domandò: «Cosa ti devo?».
«Nulla» rispose la voce di Ale, quasi con stupore. «Però voglio questa foto.» E indicò la foto di Cateri­na vestita da uomo.
«Senza cornice» aveva puntualizzato la ragazza.
«Con la cornice» aveva ribattuto Piero.
Con la cornice.

La portinaia dello stabile, che stava per andare a letto, sentì che qualcuno scendeva le scale e sollevò la tendina per vedere chi fosse.
«Chi è?» le chiese il marito dall'altra stanza.
«È quell'Ale, il fidanzato della ragazza del 14» ri­spose la donna, «Si vede che si sono rimessi insieme.»

Trent'anni alta mora
Leonardo Pieraccioni

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