martedì 31 ottobre 2006

Libera la mente prima che la mente si liberi di te

perchè ... i bambini fanno oh ... chissà chi lo sa ... portobello ... nunteregge più ... mio fratello è figlio unico ... viziato ... stereotipato ... linotype ... il feps della sera ... quella carezza della sera ... anche per te vorrei morire ed io morir non so ... andare lontano ... io sono vivo e sono qui ... il principio dei vasi comunicanti ... il principio dei visi comunicanti ... la strada ... inutile ... insostenibile ... amici mai ... amici miei ...

Brodo di cultura in pillole (II)

Ha 38 anni, Bartleboom. Lui pensa che da qualche par­te, nel mondo, incontrerà un giorno una donna che, da sempre, è la sua donna. Ogni tanto si rammarica che il destino si ostini a farlo attendere con tanta indelicata tenacia, ma col tempo ha imparato a considerare la cosa con grande serenità. Quasi ogni giorno, ormai da anni, prende la penna in mano e le scrive. Non ha nomi e non ha indirizzi da mettere sulle buste: ma ha una vita da raccontare. E a chi, se non a lei? Lui pensa che quando si incontreranno sarà bello posarle sul grembo una sca­tola di mogano piena di lettere e dirle: Ti aspettavo.

Lei aprirà la scatola e lentamente, quando vorrà, legge­rà le lettere una ad una e risalendo un chilometrico filo di inchiostro blu si prenderà gli anni — i giorni, gli istanti — che quell'uomo, prima ancora di conoscerla, già le aveva regalato. O forse, più semplicemente, ca­povolgerà la scatola e attonita davanti a quella buffa ne­vicata di lettere sorriderà dicendo a quell'uomo
— Tu sei matto.
E per sempre lo amerà.

Oceano mare
Alessandro Baricco

La verità ... in tasca (II)

Quasi nulla viene intrapreso con tante speranze e tante aspettative eppure fallisce così regolarmente come l’amore

lunedì 30 ottobre 2006

Caos e Complessità #1


da kennethcole.com

Due ragazzi passeggiano abbracciati tra le aiuole fiorite di un parco cittadino.
Hanno l'aria trasognata di chi ha momentaneamente deciso di dimenticare la realtà.
Lasciata la nostra dimensione determinata dallo spazio e dal tempo, sono entrati già da un bel po' in quella che potremmo definire una dimensione metafisica, costituita da flussi continui di sguardi e parole, silenzi e sorrisi densi di significati subliminali.
Si estingue così un luminoso pomeriggio di primavera, l'aria si rinfresca, i bimbi tornano a casa dando la manina alle loro mamme e il parco inizia popolarsi di improbabili atleti che trottano stancamente, appesantiti dai chili di troppo.
I nostri ragazzi si avvicinano all'uscita principale, ancora uno sguardo, un bacio e qualche passo all'indietro prima di lasciarsi definitivamente e ricominciare la comunicazione al cellulare prima che sia passata mezz'ora.
Un uomo in sella al suo scooter osserva distrattamente la scena, poi si accende una sigaretta, guardando in un altra direzione.

Una ragazza con una graziosa borsetta rossa e il suo ragazzo passeggiano abbracciati tra le aiuole fiorite di un parco cittadino.
Hanno l'aria trasognata di chi ha momentaneamente deciso di dimenticare la realtà.
Lasciata la nostra dimensione determinata dallo spazio e dal tempo, sono entrati già da un bel po' in quella che potremmo definire una dimensione metafisica, costituita da flussi continui di sguardi e parole, silenzi e sorrisi densi di significati subliminali.
Si estingue così un luminoso pomeriggio di primavera, l'aria si rinfresca, i bimbi tornano a casa dando la manina alle loro mamme e il parco inizia popolarsi di improbabili atleti che trottano stancamente, appesantiti dai chili di troppo.
I nostri ragazzi si avvicinano all'uscita principale, ancora uno sguardo, un bacio e qualche passo all'indietro prima di lasciarsi definitivamente e ricominciare la comunicazione al cellulare prima che sia passata mezz'ora.
Un uomo in sella al suo scooter osserva con interesse la scena.
Lo attrae quella borsetta rossa e il suo contenuto in denaro che, l'uomo spera, sia cospicuo.
La luce è ormai scarsa, la ragazza è sola, le vie sono libere e assicurano una fuga sicura.
Come un fulmine si avventa in accelerazione accanto alla ragazza e le strappa la borsetta dalle mani prima che lei si possa rendere conto di cosa sta accadendo.
La ragazza ha appena il tempo di emettere un grido prima di essere sopraffatta e scaraventata per terra dopo aver battuto la fronte contro la cancellata del parco e la nuca sul marciapiede.
Allertato da quella voce così familiare, il fidanzato di lei si volta e in un attimo comprende l'accaduto: quel tipo in scooter che sta fuggendo nella sua direzione ha appena scippato e travolto la persona che lui ama.
Decide di sbarrargli la strada, vuole provare a farlo cadere, vuole recuperare la borsetta e cosa che gli sta anche più a cuore, vuole inchiodare alle sue responsabilità l'individuo che ha schiacciato a terra la sua fidanzata.
Lo scooter procede a grande velocità, lui non si sposta, lo aspetta in mezzo alla strada.
Il ladro tenta di schivarlo ma lui alza un braccio all'altezza del collo dell'uomo riuscendo a separare il veicolo dal conducente. Si sente soltanto un urlo, e il tonfo sordo di corpi che si abbattono con violenza sull'asfalto.
Lo scooter abbandona i due uomini sorretto da un precario equilibrio e finisce così per collidere contro una torretta del distributore di benzina a lato della strada. Il carburante che da lì fuoriesce a fiotti si riversa sul motore caldo del mezzo ancora in moto.
L'esplosione illumina la sera, il boato richiama decine di persone dalle vie adiacenti che al loro arrivo imprimono nei loro occhi una scena apocalittica: tre persone esanimi in terra e un distributore di benzina in fiamme dal quale si alza un denso fumo nero.
La prima ad arrivare è una volante dei vigili urbani a sirene spiegate, cui fa seguito un esercito di uomini tra ambulanze, vigili del fuoco e carabinieri.

Due racconti che iniziano con gli stessi protagonisti, nello stesso luogo e nello stesso contesto improvvisamente divergono dando luogo a finali tragicamente diversi.
Un lettore attento può osservare che tra le due storie è bastata una minima variazione nelle condizioni iniziali (la presenza o meno della graziosa borsetta rossa) per dare luogo a una serie di considerevoli dissomiglianze finali.
Sembrerebbe quindi,che anche cose apparentemente insignificanti e ininfluenti sul breve periodo possano condurre a degenerazioni importanti ed esiti imprevedibili.
Ecco perchè le previsioni metereologiche non possono spingersi oltre qualche giorno, ecco perchè i crittologi fanno una gran fatica nel decriptare messaggi codificati da algoritmi che utilizzano meccanismi degenerativi basati sulla teoria del caos.
L'approssimativa coscienza delle condizioni iniziali determina la nostra conseguente impossibilità di predire eventi che si possano poi considerare certi.

Questa è la semplice sostanza della teoria del caos: variazioni impercettibili delle quali non teniamo conto nei nostri calcoli e progetti di partenza distruggono (o semplicemente variano) irreversibilmente le nostre previsioni.
E ogni volta noi siamo lì, costantemente delusi a chiederci che cosa non ha funzionato.
Questo mondo è troppo complesso per noi.
Anche per chi ha la presunzione di ostentare certezze e giudizi inappellabili.

La matematica usata per millantare dati soddisfa la vanità di uomini ambiziosi.
La matematica che scopre i limiti, invece, è sicuramente più interessante in quanto rende evidenti lacune imbarazzanti.
L'obiettivo della conoscenza non dovrebbe essere quello di ostentare risposte, quanto, invece, quello di indurre a riflettere su domande sempre più profonde.
Complessità e teoria del caos, due antidoti per chi soffre di alterigia.

PS Occhio quando andate al parco

Rick Hunter e la festa del cinema di Roma



Anche Rick Hunter, cugino dell'artista della degradata periferia londinese post-industriale (vedi post del 16/10/2006) e indimenticato protagonista dell'omonimo telefilm poliziesco americano, ha visitato la festa del cinema di Roma.
In compagnia della sua collega Dee Dee McCall hanno assistito, dietro invito del nostro prode Samuel, alla proiezione dell'interessantissimo film Fu Zi. Al termine dello spettacolo si è udito Hunter prima di allontanarsi, pronunciare all'amico italiano le seguenti parole: "E tu sei venuto per un giorno a fare il radical-chich, per vedere due film che non vedrà nessuno... e ora non hai uno straccio di giorno di ferie per farti un fine settimana..."

PS: scusa Samuel ma non ce l'ho fatta a resistere :-)) ... Bastaaa, aria nuova a questo blog appena nato e già spocchiosamente professorale ;-)

venerdì 27 ottobre 2006

Brodo di cultura (in pillole)

Non era mai stato fortunato: sbagliò anche il giorno per morire. Se ne andò all'alba del 28 ottobre 1942, in una corsia d'ospedale. Un errore del chirurgo; disse subito: «Mi hanno ammazzato». Mi consegnò l'orologio con la catena, che era appeso al letto, e mi raccomandò di essere buono, di pensare alla mamma e a mio fratello. Avevo ventidue anni.
Uscendo, fui fermato da un camerata: «Perché non sei in divisa?» mi chiese minaccioso. Gli spiegai che stavo organizzando un funerale, e non gli dissi che avevo qualche difficoltà per i soldi.
È passato mezzo secolo. Non vado mai alla Certosa, non ricordo più nemmeno da che parte è la tomba. Ma sto spesso con lui, più di allora. Ci siamo passati accanto; abbiamo parlato poco, io non l’ho capito. Rivivo certi momenti e ho davanti i suoi occhi spiritati per il lampo delle fotografie, quelle delle ricorrenze: una cresima, mi pare.

Ho visto il mare, la prima volta, dopo le elementari. Colonia della «Decima Legio», Rimini. Balilla. Grado: caposquadra. Se ci ripenso, sento un acuto odore di marmellata gelatinosa, in mastelli. Mio padre venne a trovarmi una domenica, con il treno popolare. Portava camicia, cravatta e giacca. Non si slacciò neppure il colletto. Ci sedemmo in un angolo della spiaggia, noi due soli. Aveva, infilata in una tasca, una bottiglia di birra. «Hai sete?» mi domandò. Io mi vergognavo un poco, i miei compagni ci stavano osservando; era goffo, impacciato, così poco balneare, e dissi di no. «Sei contento?» chiedeva. «Vi divertite?» A me sarebbe piaciuto tornare a Bologna con lui, ma aveva pagato centoventi lire per via delle adenoidi; sembra che l'acqua salata e lo iodio facciano bene, e gli raccontai che avevo vinto la gara di corsa. In valigia c'era la medaglia, con il duce in elmetto.

Ci ripenso: a casa mia non stavamo tanto male. Non ci mancava nulla: tutto, diciamo così, era un po' accomodato. Gola, infiammata: pastiglie uso Valda. Mutande: tessuto misto lino. Liquore: Strega con l'estratto. Bistecca: non proprio una «fetta di carne di manzo», come dice il vocabolario; al bue l'avrebbero potuta togliere anche da vivo, che non se ne sarebbe neppure accorto. Se mancava l'arrosto, mia madre metteva il rosmarino nelle patate, le infilava nel forno e attorno a noi si diffondeva un gradevole profumo da benestanti. Mi sembra, nella memoria, che tutto fosse chiaro: ai giovanetti, come venivano definiti nei manuali di pedagogia, si diceva che il Babbo, la Mamma, il Maestro, il Prete, il Maresciallo non andavano discussi, erano quello che erano: figure, simboli, autorità.

Già: è la prima volta che penso a mio padre senza reverenza, come a un uomo; mi permetto persino di contraddirlo, non sono d'accordo. Poi rifletto, e mi vergogno. Quanti rimorsi, e come mi è mancato. Avrei dovuto volergli più bene. L'ho in mente in divisa fascista: fu iscritto al partito con i combattenti. Era stato un indifferente: non come mio zio Gigi che fece la marcia su Roma per fare un bel viaggio senza pagare il biglietto. Lo nominarono capofabbricato e ne era soddisfatto. Si comperò, nonostante mia madre brontolasse perché li rite&neva costosi e superflui, anche gli stivali ai magazzini «Old England» (Vecchia Inghilterra) che poi si adeguarono in «Nuova Italia». Quando i tedeschi entrarono a Parigi, io a tavola commentai: «È una vera porcata». Lui urlò: «Sei un disfattista». E ci illustrò ancora una volta come aveva visto cadere Baracca sul Montello. Si era «integrato», direbbero adesso. Quel grado rappresentava la sua sola vittoria: da vice, non era mai stato promosso magazziniere. Mio fratello e io, nelle discussioni, tenevamo sempre la parte di nostra madre quando gli diceva: fumi troppo, non andare a fare la partita a scopone, con gli amici non sai importi, non ce la farai mai, queste scarpe che hai voluto prendere da solo, stesso tipo, all'angolo le vendono a metà prezzo.

Una volta, la vigilia di Natale, lo aspettavamo: doveva tornare dal lavoro e, soprattutto, portare l'anguilla. La mamma sosteneva che va mangiata, come l'agnello di Pasqua, per devozione, anche se suppongo che nel mondo zoologico questo senso religioso non sia condiviso. Arrivò, allegro, con un capitone gigante, sembrava una balena, ma era ubriaco: aveva partecipato a troppe manifestazioni augurali. «Che vergogna», disse mia madre «proprio questa notte che nasce Gesù.» Lui ebbe un inaspettato e improvviso lampo di genialità: «È così piccolo che non se ne accorge», e si buttò sul letto. Allora ne fui scandalizzato, ora penso a quella mia severità cretina: scusa, papà.

Sì, suppongo che durante l'agosto del 1934, Biagi Dario, coniugato, con moglie e prole in provvisorio soggiorno presso congiunti montanari, si lasciò andare alle suggestioni dell'ostessa di via Pietralata, la signora Nina, una donnona rosea, paffuta, abbondante, che con un colpo di petto poteva sedare una rissa. Un'ipotesi soltanto, di cui non esistono prove sicure, se non la misteriosa sparizione della catena d'oro dell'orologio, sostituita da un più pratico e meno pretenzioso fermaglio di vile metallo, e di un libretto al portatore della Banca Cooperativa, per l'ammontare di lire venti, che mio fratello si era meritato con un disegno che inneggiava alla bellezza del risparmio. So, con certezza, che rientrammo precipitosamente, che passammo a un regime di economia ancora più rigoroso, che mia madre diventò, per qualche settimana, sempre più afflitta, che io mi fermavo, di nascosto, a osservare la signora Nina, la peccatrice, lieta, disinvolta, che trattava i clienti con affettuose pacche sulle spalle e, confesso, la trovavo simpatica. Ma, in casa, mi associavo al cupo silenzio. Sono passati tanti anni e mi rallegra l'idea che il mio babbo abbia ballato, sia pure per una sola estate.

Siamo vissuti insieme e non ci siamo capiti. Non ci siamo parlati. Cerco le attenuanti: ero tanto giovane, se ne è andato così presto. Ho cominciato a conoscerlo tardi, dopo i funerali. Non siamo stati neppure amici, ma è una pretesa sciocca: non è questo che uno cerca in famiglia. Oggi, le sue sconfitte, le sue debolezze me lo rendono più caro. Vorrei inventargli un'impossibile storia. Sulla spiaggia, con giacca e cravatta, era splendido, composto, elegante come un signore inglese d'altri tempi; certo, ebbe molte avventure, perché piaceva tantissimo alle donne; un simpatico dissipatore, direi; Dio mio, beveva un po'; no, non è morto nella corsia dei poveri, all'ospedale: un banale incidente di macchina. Aveva cinquantun anni. Mi pareva vecchio.

Enzo Biagi “Un anno Una vita”
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giovedì 26 ottobre 2006

Un gioco serio


da uh.edu

Un campo di battaglia, due valorosi eserciti si fronteggiano immobili e disciplinati nel silenzio che precede l'apocalisse.
Fedeli soldati in linea attendono che abili menti concentrate e assorte decidano del loro destino. Nessuno è padrone di se stesso, si seguono gli ordini, ci si muove secondo disposizione, nessuno prenda iniziative.

Il Re e la Regina assistono silenziosi, le Torri svettano alte e i Cavalli scalpitano sotto cavalieri il cui volto è nascosto da elmi luccicanti.
Sono le prime linee a sacrificarsi quando la battaglia ha inizio, lo scontro è terribile, devastante: di loro non rimane altro che una postazione vuota, testimonianza dell'esistenza di chi non si è risparmiato, di chi ha scelto di stare davanti, di non avere la tranquillità dei mediocri; non è il caso di abbandonarsi alla disperazione, questo è il loro mestiere, il motivo per cui sono stati, il motivo per cui ora non sono più.

Il tempo rallenta la sua folle corsa, l'atmosfera si fa tesa, le perdite sono consistenti, la sconfitta si avvicina al galoppo.
Sono gli Alfieri, ultimi fedeli servitori di un Re e una Regina al crepuscolo delle loro esistenze, a tentare l'estrema quanto inutile difesa dei loro sovrani.
E allora siano onore e gloria a un esercito di coraggiosi combattenti, ubbidienti e leali pedine di un gioco che non avevano scelto, innocenti vittime dell'altrui sete di vittoria.

Accerchiato, circondato, senza via di scampo, un monarca sconfitto guarda fiero l'esercito nemico che gli impedisce il passo.

Scacco Matto

martedì 24 ottobre 2006

La festa del Cinema di Roma

Roma
foto APT di Roma

La festa del cinema di Roma che si è appena conclusa e che è anche stata la prima edizione, si è rivelata per me una piacevole sorpresa. Le inutili polemiche sulla competizione con Venezia e i suoi "leoni" non hanno senso. Cioè dico: chissene se in Italia ci saranno due festival; se le città famose nel mondo del cinema saranno infine due: si tratta di Venezia e Roma, mica di Boschetto - con tutto il rispetto per la fantasmagorica frazione del chivassese, che fra l'altro ospita un ottimo ristorante sardo.

Comunque dicevo, la festa del cinema. Roma era chiara ma triste. L'organizzazione efficiente. Gli spazi dedicati alle proiezioni principali erano concentrati all'Auditorium a circa mezzora dal centro, immerso nel verde dei "parioli".

Fu Zi è un film emozionante. Si tratta di una vicenda familiare dolorosa e sofferta: una donna che lascia figlio e marito per sposare un uomo più stabile, il marito abbandonato che lotta contro il vizio del gioco d'azzardo, il figlio che non riceve le dovute cure del padre, che anzi lo costringe a rubare. Insomma, dirà qualcuno, soltanto una grande noia. Nient'affatto. All'inizio del film, c'è una specie di lettera del regista - Patrick Tam - in cui scrive che si propone di emozionare il pubblico, di creare un'esperienza emotiva intensa. Francamente pure a me sembrava un po' difficile, anche in considerazione dei centocinquanta minuti di film, oltre che allo stile del cinema di Hong Kong, piuttosto lento e prolisso. Tuttavia, nonostante il mio stesso pregiudizio, sono arrivato a commuovermi - come difficilmente mi succede - sulla veloce sequenza finale dei momenti più belli passati fra padre e figlio (Fu Zi, appunto), sulla quale il figlio "fuori campo" racconta l'epilogo della storia.

The Namesake di Mira Nair invece è un film piuttosto scontato. Ottimo, certo, il tentativo di ricostruire la difficile integrazione di culture diverse, l'orgoglio di un nome e di ciò che c'è dietro. Ecco, forse proprio questo è l'aspetto più interessante del film: il protagonista della storia si rende conto dell'importanza del proprio nome, soltanto quando perde quasi tutto del proprio retaggio: perfino gli affetti più cari. Quel nome, Gogol, in una società come quella americana era troppo ridicolo. Meglio cambiarlo. La globalizzazione, infatti, fa si che pure nelle società più multietniche le differenze culturali vadano appiattendosi. Questa lucida analisi salva il film, che altrimenti colleziona soltanto alcune gag tipiche di una classica commedia americana.

domenica 22 ottobre 2006

La verità ... in tasca ( I )


Ogni uomo ha due ragioni per fare o non fare qualcosa: una ragione che suona valida e poi quella vera.

lunedì 16 ottobre 2006

Caos e Complessità #0


da fotosearch.com

cvpohlpsop

Una stringa di testo senza significato apparente.
Caratteri alfabetici accostati l'uno all'altro che costituiscono una parola impronunciabile e senza contenuto semantico.
Manca una logica, un ordine, qualcuno direbbe che le lettere sono state scelte "a caso".

Non esiste fenomeno, circostanza o situazione nel mondo materiale che non possa essere definito attraverso una funzione matematica.
L'oscillazione di un pendolo, il moto di un pianeta, la traiettoria di un proiettile e persino questioni che sembrano sfuggire a ogni logica come il percorso di una ragazza che passeggia spensieratamente in un centro commerciale possono essere descritti attraverso delle variabili che identificano una funzione matematica nel tempo e nello spazio.
Chi fosse in grado per esempio, di conoscere con esattezza la forza con la quale si colpisce la palla, le condizioni di temperatura e umidità della stanza, l'attrito del tappeto verde in ogni suo punto e le caratteristiche di superficie della palla da biliardo, sarebbe in grado di definire con esattezza matematica dove, come e in quanto tempo la sfera si fermerà dopo essere stata colpita.
Questo vale anche per fenomeni che solitamente consideriamo "casuali".
E' umanamente impensabile, ma se esistesse una persona in grado di conoscere con esattezza i negozi e le merci esposte, il tempo a disposizione, i gusti, i desideri, la disponibilità economica e la condizione psico-emotiva di quella ragazza di cui ho scritto prima, sarebbe in grado di definire il suo percorso nel centro commerciale a priori.
Alcuni sostengono che Dio è il Grande Matematico, colui che, essendo a conoscenza di tutte le variabili dell'Universo è in grado di definire per ogni istante temporale l'evoluzione delle cose; questa sì che si chiama perspicacia!!
In certi contesti, quindi, più che parlare di "caso" si potebbe pensare di introdurre il concetto di "caos", intendendo con questo termine un ordine così complesso che sfugge alla nostra comprensione e che quindi si presenta come caso o disordine.
Invece di limitarsi ai concetti opposti di ordine - disordine, si può quindi cominciare a ragionare sul fatto che esistono diversi livelli di ordine e che, a volte, invece che di un casuale disordine, si è in presenza di un livello di complessità così elevata da sembrare semplice disordine alle nostre menti che, per quanto brillanti sono pur sempre limitate.

Questa appena espressa è una semplificazione della "teoria della complessità" ed è la base concettuale sulla quale si fonda la "teoria del Caos" utilizzata in meteorologia e in crittografia, di cui magari scriverò un'altra volta, se me lo concederete.

Credo che ci interessi più che altro l'applicazione pratica di una teoria, quella della complessità, che per quanto possa essere affascinate non sembra avere nessuna ricaduta pratica nella vita di tutti i giorni.
E invece ne ha diverse.
Quella che mi piace di più riguarda la comprensione tra uomini e donne.
Si accusano spesso le donne, alcune in particolare, di comportarsi in modo del tutto irrazionale, volendo celebrare in questo modo una presupposta e superiore razionalità da parte maschile.
Forse si dovrebbe considerare che quella teorizzata irrazionalità femminile potrebbe celare in realtà una complessità che gli uomini (e a volte le donne stesse) non riescono a cogliere.

"cvpohlpsop" a tutti! (sostituite a ogni lettera quella che la precede nell'alfabeto)
A volte il disordine è solo apparente.
Altre volte chiamiamo "disordine" ciò che non vogliamo comprendere.

Tom Hunter


foto di Tom Hunter

Tom Hunter è un artista della degradata periferia londinese post-industriale: Hackney. In una sua recente mostra alla National Gallery esponeva fra le altre questa splendida foto: "Woman reading a Possession Order".

Hunter fotografa scene che rievocano le suggestioni dei grandi classici della pittura rinascimentale; ad esempio, questa foto si riferisce all'opera del pittore olandese Jan Vermeer del 1657: "Donna che legge una lettera". Nella scena una fanciulla legge una lettera: parete chiara, penombra, oggetti sul tavolo coperto da un tappeto.

Sebbene la scena di Hunter contenga di fatto elementi diversi dagli originali - ad esempio al posto di semplici oggetti inanimati vediamo un bambino - le suggestioni evocate dalla foto sono molto simili a quelle dell'originale. Su tutto, comunque, risalta la qualità eccezionale delle fotografie.